ODILLA, LA BOTTEGA DEL CIOCCOLATO A TORINO

 

Odilla-8 Il profumo di cacao si sente da lontano, è un richiamo che attira e ingolosisce i palati più suscettibili, conducendoli in un piccolo paradiso gourmet. Un negozio di meraviglie in delicato oro nero, che dopo un’attenta lavorazione e un delizioso confezionamento, fanno bella mostra di sé su scaffali, vetrinette e vassoi cui non è semplice resistere. Dietro il bancone, tutti sorridono e basta assaggiare un cioccolatino per capire perché.

Torino è famosa per le merende da re che si possono gustare nei tanti caffè o nelle pasticcerie che affollano i viali della città. Basta girare un angolo per trovare invitanti concentrati di glucosio pronti per regalare allegria istantanea. Star indiscussa è il cioccolato, celebrato ogni anno dalla fiera Cioccolatò, evento dedicato alla eccellente produzione made in Italy di questo nettare che, se accostato alle nocciole piemontesi, dà vita a prelibatezze come il gianduiotto.

Ma non tutto il cioccolato è uguale. Per scoprirne l’arte, sono andata a trovare Gabriele Maiolani, Maître Chocolatier e anima della Chocolaterie Odilla, bottega dove crea attimi di estasi insieme alla mamma Odilla Bastioni. Tutto nasce dall’incontro con il guru del cioccolato Monsieur Sauvadet André e dal contatto con due donne, Joanne Harris e Juliette Binoche, rispettivamente scrittrice e attrice del celebre film Chocolat. Dal cinema alla realtà, come nei sogni. Un colpo di fulmine per questo dolce mondo che appassiona Gabriele e lo porta a seguire il maestro all’Ecole du Grand Chocolat di Lapalisse, nella regione dell’Auvergne, in mezzo alla Francia. Al suo ritorno, nel 2004, apre il primo laboratorio, grande solo 9 metri quadrati. Da quel momento non ha mai smesso di deliziare i torinesi.

Mi fa assaggiare un cioccolatino e ne resto inebriata. La sua superficie sottile ma croccante si rompe con una leggera pressione della lingua, liberando una morbida crema con sentore di nocciola sul palato, e poi in tutta la bocca, lasciandomi sorridente e ingolosita. Scopro che si chiama Godo’ e ne esistono varie versioni leggermente diverse, ma per apprezzare ancora di più questo gioiello ipercalorico, mi sposto nel laboratorio.

Un misto di suggestioni cinematografiche tra la piccola bottega di Chocolat e la fabbrica di Willie Wonka: la stanza è piena di macchinari tecnologici pronti a frullare dolci ingredienti per tradurli in tentazioni mignon. Il maître chocolatier mi racconta le fasi del suo lavoro: parte dalle fave di cacao, cui aggiunge le nocciole delle Langhe, precedentemente macinate a vuoto per conservarne l’aroma, e poi continua con le lente procedure per rendere la pasta morbida e delicata al punto giusto. Per realizzare la copertura, invece, usa gli stampi, mentre per le altre sfoglie sottilissime, ha studiato e studiato, finché non ha trovato la soluzione, modificando ad hoc uno dei suoi robot da cucina.

È tutto un gioco di temperature e misurazioni precisissime, calcolate con cura e anni di esperienza: si va dalla fase di riposo a oltre 50 gradi, alla fase di temperamento, fino alla lavorazione a freddo, per rendere la superficie più lucida. Tutte tecniche sofisticate, che hanno fatto aggiudicare a Gabriele il titolo di Maestro del Gusto per il biennio 2010-2012.

Ma i Godo’ non sono le uniche creazioni firmate Odilla: il negozio è pieno di cioccolato in tutte le forme, impacchettato con mille colori, in tavolette o lingotti di varie dimensioni, nella figura di una gallina o di un sorridente coniglio, in quadratini decorati e invitanti palline ricoperte di cacao. Dopo la ghiotta visita al laboratorio, rientrare nella boutique è ancora più piacevole. La gioia delle narici al contatto con l’aria dolce si somma all’entusiasmo dello sguardo, che non smette di rimbalzare da una delizia all’altra.

Una signora incollata alla vetrinetta è intenta a scegliere le piccole leccornie che le rassereneranno la giornata. I vassoi sono pieni di praline classificate secondo i gusti, fondente nero o al latte, con nocciola, pistacchio o noce, ripieno di lampone o zucchero di canna, e poi al liquore, al peperoncino e tanti altri dolci cubetti disegnati con coloratissimo burro di cacao. Spicca tra queste piccole voglie, la pralina al frutto della passione, unica nel suo genere perché ideata e brevettata da Gabriele. Assaggio una fragola candita ricoperta di cioccolato croccante, incantevole accostamento che compete con l’armonica combinazione che il cacao ha con altri frutti come il fico e la mela cotogna. Affollati su piatti uno accanto all’altro, sono una tentazione indecisa per palati in cerca di zuccheri.

La signora è ancora lì che sceglie: “Ci ho ripensato, sa, assaggio anche queste pepite qui”. Inutile resistere a tanta dolcezza.

 

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SARDEGNA, PECORINO TECNOLOGICO

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La produzione di pecorino sardo è un rito antico realizzato ancora oggi da uomini che vivono in simbiosi col proprio gregge, isolati dal mondo. A Funtanazza, nel paradiso della Costa Verde, Mauro e Sandro Lampis producono pecorino e ricotta da agricoltura biologica seguendo le orme del bisnonno Pietro, che produceva formaggio già dalla metà dell’Ottocento. La storia prosegue con nonno Raimondo e quindi con babbo Pietro che, pur avendo visto l’uomo sbarcare sulla luna, mai avrebbe pensato che i figli Mauro e Sandro sarebbero stati fra gli allevatori più innovativi al mondo. I due giovani Lampis sono tra i primi a usare l’alta tecnologia nelle fasi di mungitura e monitoraggio del gregge e della produzione. E così, è normale a Funtanazza ritrovarsi tra le pecore con un PC tra le mani per valutare una serie di dati riferiti a ogni singolo capo di bestiame e produrre un pecorino squisito. “Fra tradizione e innovazione” è uno degli slogan più abusati, ma qui è la realtà dei fatti.

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SARDEGNA, LAME TASCABILI

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In terra sarda il coltello è qualcosa in più di un semplice strumento da lavoro e costituisce un elemento etnico identificativo, parte integrante dell’uomo come potrebbero essere i baffi o le scarpe. Basta entrare in uno dei tanti laboratori sparsi sul territorio per ammirare l’arte dei coltellinai.Nel segno del fuoco e del metallo, mani esperte rendono onore alla tradizione di questo oggetto, che in Sardegna ha segnato la quotidianità di pastori, contadini e minatori. Quando nel XVII secolo i regnanti spagnoli e piemontesi vietarono l’uso di coltelli a lama fissa, i coltellinai sardi iniziarono a produrre gli arresojas, coltelli a serramanico.Tipico della zona di Arbus è l’arburesa, il coltello con lama panciuta, manico ricurvo in un unico pezzo e fascette metalliche alle estremità, conosciuto anche come “gonnese” o a “foggia antica”. Comodo e resistente, si è diffuso molto nella zona perché utile per il lavoro dei pastori e per le pratiche venatorie.

Proprio ad Arbus si trova il Museo del Coltello e Paolo Pusceddu, deus ex machina di questa struttura, trasforma i coltelli in pezzi da collezione. L’ultima sua “perla” è un esemplare con lama “damascata” raffigurante la Natività. Se poi si ha la fortuna di vederlo all’opera nel suo laboratorio, anche nell’esecuzione di un lavoro semplice e per lui non troppo impegnativo, si scopre che la passione e l’ingegno creativo vengono prima della tecnica.

SARDEGNA, C’ERA UNA VOLTA UNA MINIERA

sardegna-miniere-1Sparpagliati sul Monte Linas, antichi villaggi abbandonati portano il segno di un tempo in cui la miniera era il motore dell’economia locale. Si chiamano Montevecchio, Ingurtosu, Canale Serci, Perd’e Pibera, Naracauli, e si sono svuotati dopo che l’ultima sirena ha annunciato la chiusura delle miniere nel 1991. Tutto è stato lasciato così com’era e l’atmosfera che aleggia in queste silenziose città fantasma ha un che di surreale. Dove un tempo lavoravano, vivevano, morivano migliaia di operai, oggi passeggiano indisturbate famigliole di cervi.

Tra le spiagge di Piscinas, Villacidro e Arbus, imponenti fabbricati, ferrovie, impianti di lavaggio dei minerali, pozzi, argani, teleferiche, officine raccontano la realtà cruda, dura, umanissima del microcosmo minerario. Alcune strutture sono state recuperate e permettono di entrare realmente in quel mondo: tutto è fermo e si respira il senso dell’attività di miniera. Altre, invece, sono corrose dal tempo e la loro decadenza è una traccia forte sul territorio, un segno della storia che sintetizza il cambiamento. Quello che era fonte di vita per migliaia di persone si è dissolto.

sardegna-miniereQuesti villaggi congelati a oltre vent’anni fa, sono oggi visitabili in un affascinante percorso di archeologia industriale, un itinerario guidato dalle guide del Consorzio Imprese Arburesi Organizzate C.I.A.O. Arbus. Dal Pozzo di San Giovanni a Piccalinna al Museo degli operai a Ingurtosu, il viaggio “archeo industriale” costituisce una via privilegiata per comprendere in profondità il territorio, la storia, le radici umane della parte occidentale del Medio Campidano.

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SARDEGNA ACTIVE

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A piedi

Sentieri, stradelli, carrarecce sono le tracce ideali per vivere al massimo questo lembo di Sardegna che merita di essere scoperto nei suoi grandi spazi e nella sua integrità, con attività all’aria aperta come il trekking. Camminare su altopiani, montagne e tratti di costa significa entrare nel cuore di questa terra selvaggia.

sardegna-trekkingAnche se generalmente i tracciati sono alla portata di tutte le gambe, spesso attraversano zone isolate, non coperte dal segnale per telefoni cellulari e lontane da centri abitati. Perciò è bene pianificare le escursioni studiando in anticipo il territorio e gli itinerari, equipaggiandosi con abbigliamento adeguato e con le giuste scorte di acqua e cibo. Le aree più suggestive da attraversare sono l’altopiano della Giara, il massiccio del Monte Linas e il Monte Arcuentu.

In bici

Strade poco trafficate, dislivelli limitati, grande varietà ambientale e clima favorevole gran parte dell’anno fanno di questo territorio una meta decisamente ambita dagli appassionati delle due ruote. La scelta spazia in ogni chilometro del reticolo di strade provinciali secondarie che mettono in collegamento i 28 comuni del territorio.

sardegna-bikePer chi ama la mountain bike, inoltre, è possibile pedalare su strade campestri, che permettono di scoprire gli angoli più remoti di questo spicchio di Sardegna. La segnaletica spesso è approssimativa o insufficiente, quindi è consigliabile munirsi di cartina stradale e chiedere alle persone del luogo in caso di dubbi. I periodi più indicati per pedalare in questa zona sono quelli compresi tra marzo e la prima metà di giugno e tra settembre e novembre.

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