Caldo indescrivibile, tanta fatica e paesaggi da urlo: è la sfida estrema di sabbia, sole e vento che spinge Giuliano Pugolotti a correre una ultra-maratona dopo l’altra nei deserti del mondo.
A vederlo così non si direbbe che quest’uomo sorridente e abbronzato, magro ma non troppo, abbia corso nel deserto per ben 188 km e 35 ore,senza mai fermarsi, appena tre mesi fa. Capelli brizzolati, guance tonde, jeans e camicia, stretta di mano decisa: Giuliano Pugolotti, 53 anni, pubblicitario con la passione per la corsa estrema, negli scorsi 8 anni ha partecipato a ben 15 competizioni in alcuni deserti del mondo. Viene a trovarci nella redazione di Latitudes in un pomeriggio d’inizio luglio e ci riempie di parole, immagini, pensieri. La prima volta che ha visto il deserto, è stato per correre. Cercava una nuova sfida, uno stimolo per incanalare la sua adrenalina, ed eccolo in Tunisia, in mezzo ad altri runner molto più esperti di lui.
Con il sacco a pelo da supermercato e lo zaino troppo pesante, capisce di aver fatto una scelta incosciente, esagerata. Sembra un turista in mezzo agli atleti, vorrebbe tornare a casa, ma dopo una nottata di conflitti interiori decide di non mollare. E il giorno dopo inizia la sua prima extreme run, una corsa di 120 km divisa in cinque tappe tra le dune del Sahara. Arriva tra gli ultimi, stanchissimo, ma sa che non è finita. Seguiranno altre 14 competizioni, sempre più estreme: di nuovo nel Sahara, poi in Libia nel deserto del Ghat, tra le difficili rocce del Gobi in Cina, sul massiccio Hoggar Assekrem in Algeria, nel deserto di Atacama in Cile, nel Wadi Rum in Giordania. “Nel deserto capisci che la natura ha una forza enorme, impetuosa, in grado di tirare fuori e ingrandire ogni tua minima debolezza. Se gli fai vedere che hai paura, non ne esci. Per affrontarla devi essere deciso, lavorare su te stesso e non mollare mai”. Neanche se c’è un caldo incredibile, che asciuga tutte le energie, neanche se l’aria è pesante e intorno c’è solo sabbia.
Giuliano ci spiega che esistono diversi tipi di gare: a tappe come la sua prima esperienza, o in un’unica sessione, come la Extreme Desert Cup, che ha completato lo scorso aprile in Marocco. Nel primo caso la gara è divisa in blocchi, praticamente si corre una maratona al giorno per 4 giorni, e l’ultimo giorno si chiude con 90-95 km, dormendo in sacco a pelo nelle tende fornite dall’organizzazione. Nel secondo caso, invece, si parte e si arriva quando si vuole, fermandosi ai check point per fare rifornimento d’acqua. Il cibo si porta da casa e deve stare tutto nello zaino, insieme a sacco a pelo, torcia, paravento e poco altro. Da bravo emiliano, Giuliano si porta un chilo di parmigiano reggiano e la pasta liofilizzata – altro che barrette – e invece degli integratori preferisce il sale marino, che si fa incapsulare dalla farmacia di fiducia. Semplice, come la corsa.
E gli allenamenti? Non c’è una regola, o almeno non ce la dice. Corre quando ha tempo, la mattina prestissimo, prima di andare in ufficio, oppure la sera dopo il lavoro. Da come parla, sembra che la cosa su cui bisogna concentrarsi veramente sia la testa. Se i muscoli sono allenati, vanno. Il più è convincere il proprio corpo a muoverli ininterrottamente per chilometri e chilometri. A cosa pensare? Come tenersi motivati? Giuliano resta vago, non sa spiegarlo: “Penso a tutto quello a cui non penso normalmente, a cose banali e serie, e poi mi concentro sui segnali che mi dà il mio fisico”. Certo, bisogna essere sportivi, irrequieti, determinati, amare il movimento e la fatica, apprezzare quella soddisfazione che si ottiene con la conquista di un obiettivo, e non accontentarsi mai.
Ma come ha iniziato a correre, uno così? Comincia a 32 anni, per caso. Un giorno è al parco a fare jogging con una magliettaccia e le scarpe sottomarca, e per non annoiarsi decide di seguire un altro corridore. Un giro, due, tre. Cerca di parlargli per ingannare il tempo, ma quello non vuole saperne. Alla fine l’uomo si gira e gli chiede se fa le gare, e che dovrebbe proprio farle, perché è bravo, ha la stoffa. E infatti. Diventano amici, lo coinvolge, gli dà dei consigli su come allenarsi, su quali competizioni fare. Corre la prima maratona e si accorge di essere tagliato per questo sport. Si appassiona alla fatica, alla sfida con se stesso, e non smette più. Dopo 18 maratone in cui l’unico gioco è quello di risparmiare qualche secondo, si stufa e cerca qualcosa di più difficile, qualcosa per cui lottare. Ed eccolo nel deserto, un nuovo amore.
Bellissimo, ostile, difficile da far paura. “Laggiù sei solo con te stesso, tu e il mostro del deserto. Ci vuole tanta grinta per trovare la sicurezza e la motivazione per tenere duro, ma quando ce la fai è pazzesco”. La sua soddisfazione si legge in quegli occhi che si fanno piccolissimi quando ride – e ride spesso – mentre ci mostra i suoi trofei. Niente coppe o medaglie, ma le foto che scatta quando combatte il mostro, con la fotocamera compatta che porta sempre con sé. Una luna gigante sulla sua testa, un autoscatto con gli occhiali da sole e il cappellino, una fila indiana di corridori in cima a una duna, una striscia infinita di sabbia bianca, le scarpe distrutte, un tramonto di fuoco che sembra non finire più.
Testo di Giorgia Boitano | Foto di Giuliano Pugolotti © RIPRODUZIONE RISERVATA
Servizio pubblicato su Latitudeslife.com