Cambogia, Karma bucolico

Un viaggio tra vita rurale e luoghi mistici alla scoperta del “sorriso della Cambogia”. Lontano il più possibile dal turismo di massa, un sogno ad occhi aperti alla scoperta del patrimonio inestimabile di questo Paese dal passato tragico e dal presente in fermento.

Il Paese è ormai una consolidata meta turistica e aggiornata agli standard d’accoglienza internazionali di qualsiasi livello. Le protagoniste per la maggior parte dei visitatori sono il famoso tempio e patrimonio UNESCO Angkor Wat e la zona circostante Siem Reap, la caotica e suggestiva capitale Phnom Penh e la località marittima Sihanoukville, ma al di là di queste icone turistiche, c’è tanto altro da scoprire. La Cambogia fuori stagione si rivela in tutta la sua autenticità, nel bene e nel male, per chi la sa apprezzare. Foresta pluviale e risaie a perdita d’occhio fanno da sfondo a templi millenari, piccoli villaggi fluviali abitati da instancabili contadini, il tutto incorniciato da cieli tropicali che rendono le giornate più saporite e affascinanti.

Capoluogo dell’omonima provincia, Siem Reap è situata nel nord-ovest del Paese tra le rovine di Angkor e il Lago Tonle Sap. Già negli anni ‘30, con il sontuoso Grand Hotel Angkor, la città attirava le prime ondate di viaggiatori che furono poi bloccate durante periodo buio dei Khmer Rossi. Negli ultimi anni il flusso di turisti è aumentato nuovamente e ora la città si  presenta come un’accogliente base di partenza per le escursioni da fare in zona ed è dotata di ogni genere di struttura ricettiva: hotel, ostelli, spa, negozi e ristoranti. Vale la pena visitare il Museo Nazionale di Angkor, la scuola e il mercato dell’artigianato, e passeggiare tra le bancarelle del mercato serale. Per gli amanti della vita notturna, Pub Street è la via dei locali e dei ristoranti più frequentati, ma i migliori in cui si può assaporare la cucina khmer si trovano nelle vie secondarie e più nascoste della città.

Dopo un lungo viaggio in bus da Bangkok con tappa alla memorabile dogana di Poipet, Siem Reap accoglie con una festa di clacson e voci. “Hi! My name is Rà, nice to meet you!”, dice con aria lieta il ragazzotto tarchiato sulla trentina. Ha un viso simpatico e un sorriso abbagliante e la sua passione sono i percorsi meno battuti. Pacifico e amichevole, Rà è la guida perfetta alla  scoperta di Angkor, il parco archeologico più grande ed eccezionale del Paese costituito da un Grande Circuito di 26km che comprende, oltre ai più celebri, la Città del Tempio Angkor Wat, Ta Phrom, Angkor Thom e Bayon, il tempio buddhista-hindu Phreh Khan e il sontuoso Neak Poan.

Nome originale di Angkor era Yasodharapura, ovvero città di gloria, costruita all’inizio del nono secolo per celebrare la ricchezza dell’Impero Khmer e dell’imperatore Yasovaraman I. Appena qualche secolo dopo, al momento del suo apogeo, sotto la guida dell’Imperatore Javaraman VII, era la città più grande del mondo e copriva un’area di mille chilometri quadrati. Visitarli oggi, dopo che la storia e la natura li hanno coperti e trasformati, è un’esperienza mistica. Un sogno a occhi aperti che proietta in un’era lontana. Passeggiando in una nuvola di vapore condensato, ci si addentra nella foresta accompagnati dalle voci della natura e dalla delicata cantilena di Rà che introduce la storia dell’Impero Khmer. Una teoria di regnanti dai nomi impronunciabili, guerre lontane e successioni di civiltà antiche portano in un passato fatto di prosperità economica e magnificenza architettonica, ottimi raccolti, feste popolari e celebrazioni buddiste. Lungo il tragitto a piedi compaiono templi e rovine antiche che si fanno largo tra rami e foglie della foresta tropicale. Enormi complessi religiosi e torri maestose sembrano nascere spontaneamente dalla natura.

Altra perla della zona di Angkor è Kbal Spean, un’alveo fluviale interamente scolpito e immerso nella profonda giungla del Phnom Kulen National Park a 50 km da Siem Reap. La fauna è molto ricca e rende l’avventura ancora più selvaggia, mentre l’umidità al 99% copre i colori di una luce bianca come in un sogno. Destreggiandosi tra liane e formazioni rocciose simili a meteoriti, si arriva al “Fiume dei mille Linga”, sul cui affascinante letto abili mani hanno scolpito centinaia di immagini di divinità Hindu, rendendolo un capolavoro indimenticabile. Così bello che un gruppo di placide farfalle variopinte ci si posano sopra, scatenando giochi di colore e pensieri magici. Seguendo il letto del fiume per tornare verso valle si incontrano grotte decorate con antiche incisioni e piccoli laghetti e cascate, dove ci si può rinfrescare e nuotare per concludere l’escursione.

Il modo più autentico per scoprire il meglio del territorio è nutrirsi dei consigli di chi si incontra lungo il percorso, per poi seguirli. Dopo aver ascoltato storie, leggende e informazioni pratiche, decidiamo di lasciarci consigliare dal nostro amico Rà:“Go visit floating village and then all the way to north-east… the heart of Cambodia!”. Così si prosegue verso uno dei luoghi più caratteristici e bizzarri mai visti: il villaggio galleggiante di Kompong Pluk, in cui vive una delle comunità fluviali più remote. Palafitte alte fino a sei metri sorreggono le abitazioni caratteristiche cambogiane. Costruite in previsione d’inondazioni durante la stagione delle piogge, queste architetture danno al paesaggio un alone surreale. L’alternativa per chi vive qui è trascorrere giorni e notti in una sorta di house boat seguendo il flusso vitale del fiume e del vicino lago Tonlè Sap. Nella maggior parte dei casi la barca è anche il luogo di lavoro: vendita del pescato locale, ortaggi e frutta o piccoli ristoranti casalinghi dove si assaporano le ricette locali preparate con i prodotti della comunità. Il mezzo di trasporto più efficace da queste parti è una bellissima pagoda in legno decorata con colori sgargianti, con la quale muoversi per il villaggio che si estende anche dentro una foresta di mangrovie. Scaldati dai sorrisi della gente e dai saluti di bambini incuriositi, si ringrazia la sorte di essere capitati in questo posto speciale, prima di proseguire attraverso il lago Tonlè Sap fino alla cittadina di Battambang. Si tocca poi la città di Kampong Cham, sul grande fiume Mekong, fino all’estremo nord-est del paese, sulle orme della Cambogia più autentica.

Gli ultimi giorni sulla costa, nel sud-est del Paese, segnano la fine di un mese tra luoghi apprezzati da turisti di tutto il mondo, natura incontaminata e preziosi patrimoni artistici e architettonici. Ma il vero tesoro della Cambogia è la sua gente: il popolo Khmer è stato all’inferno, ha subito massacri, miseria e instabilità politica per anni, ma ottimismo e tenacia sono riusciti a mantenere vivo quel sorriso irresistibilmente contagioso.

Articolo pubblicato su Latitudeslife.com con le foto del mio amico Andrea Zanaboni

RUNNING: IL DESERTO, DI CORSA

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Caldo indescrivibile, tanta fatica e paesaggi da urlo: è la sfida estrema di sabbia, sole e vento che spinge Giuliano Pugolotti a correre una ultra-maratona dopo l’altra nei deserti del mondo.

A vederlo così non si direbbe che quest’uomo sorridente e abbronzato, magro ma non troppo, abbia corso nel deserto per ben 188 km e 35 ore,senza mai fermarsi, appena tre mesi fa. Capelli brizzolati, guance tonde, jeans e camicia, stretta di mano decisa: Giuliano Pugolotti, 53 anni, pubblicitario con la passione per la corsa estrema, negli scorsi 8 anni ha partecipato a ben 15 competizioni in alcuni deserti del mondo. Viene a trovarci nella redazione di Latitudes in un pomeriggio d’inizio luglio e ci riempie di parole, immagini, pensieri. La prima volta che ha visto il deserto, è stato per correre. Cercava una nuova sfida, uno stimolo per incanalare la sua adrenalina, ed eccolo in Tunisia, in mezzo ad altri runner molto più esperti di lui.

Con il sacco a pelo da supermercato e lo zaino troppo pesante, capisce di aver fatto una scelta incosciente, esagerata. Sembra un turista in mezzo agli atleti, vorrebbe tornare a casa, ma dopo una nottata di conflitti interiori decide di non mollare. E il giorno dopo inizia la sua prima extreme run, una corsa di 120 km divisa in cinque tappe tra le dune del Sahara. Arriva tra gli ultimi, stanchissimo, ma sa che non è finita. Seguiranno altre 14 competizioni, sempre più estreme: di nuovo nel Sahara, poi in Libia nel deserto del Ghat, tra le difficili rocce del Gobi in Cina, sul massiccio Hoggar Assekrem in Algeria, nel deserto di Atacama in Cile, nel Wadi Rum in Giordania. “Nel deserto capisci che la natura ha una forza enorme, impetuosa, in grado di tirare fuori e ingrandire ogni tua minima debolezza. Se gli fai vedere che hai paura, non ne esci. Per affrontarla devi essere deciso, lavorare su te stesso e non mollare mai”. Neanche se c’è un caldo incredibile, che asciuga tutte le energie, neanche se l’aria è pesante e intorno c’è solo sabbia.

Giuliano ci spiega che esistono diversi tipi di gare: a tappe come la sua prima esperienza, o in un’unica sessione, come la Extreme Desert Cup, che ha completato lo scorso aprile in Marocco. Nel primo caso la gara è divisa in blocchi, praticamente si corre una maratona al giorno per 4 giorni, e l’ultimo giorno si chiude con 90-95 km, dormendo in sacco a pelo nelle tende fornite dall’organizzazione. Nel secondo caso, invece, si parte e si arriva quando si vuole, fermandosi ai check point per fare rifornimento d’acqua. Il cibo si porta da casa e deve stare tutto nello zaino, insieme a sacco a pelo, torcia, paravento e poco altro. Da bravo emiliano, Giuliano si porta un chilo di parmigiano reggiano e la pasta liofilizzata – altro che barrette – e invece degli integratori preferisce il sale marino, che si fa incapsulare dalla farmacia di fiducia. Semplice, come la corsa.

E gli allenamenti? Non c’è una regola, o almeno non ce la dice. Corre quando ha tempo, la mattina prestissimo, prima di andare in ufficio, oppure la sera dopo il lavoro. Da come parla, sembra che la cosa su cui bisogna concentrarsi veramente sia la testa. Se i muscoli sono allenati, vanno. Il più è convincere il proprio corpo a muoverli ininterrottamente per chilometri e chilometri. A cosa pensare? Come tenersi motivati? Giuliano resta vago, non sa spiegarlo: “Penso a tutto quello a cui non penso normalmente, a cose banali e serie, e poi mi concentro sui segnali che mi dà il mio fisico”. Certo, bisogna essere sportivi, irrequieti, determinati, amare il movimento e la fatica, apprezzare quella soddisfazione che si ottiene con la conquista di un obiettivo, e non accontentarsi mai.

Ma come ha iniziato a correre, uno così? Comincia a 32 anni, per caso. Un giorno è al parco a fare jogging con una magliettaccia e le scarpe sottomarca, e per non annoiarsi decide di seguire un altro corridore. Un giro, due, tre. Cerca di parlargli per ingannare il tempo, ma quello non vuole saperne. Alla fine l’uomo si gira e gli chiede se fa le gare, e che dovrebbe proprio farle, perché è bravo, ha la stoffa. E infatti. Diventano amici, lo coinvolge, gli dà dei consigli su come allenarsi, su quali competizioni fare. Corre la prima maratona e si accorge di essere tagliato per questo sport. Si appassiona alla fatica, alla sfida con se stesso, e non smette più. Dopo 18 maratone in cui l’unico gioco è quello di risparmiare qualche secondo, si stufa e cerca qualcosa di più difficile, qualcosa per cui lottare. Ed eccolo nel deserto, un nuovo amore.

Bellissimo, ostile, difficile da far paura. “Laggiù sei solo con te stesso, tu e il mostro del deserto. Ci vuole tanta grinta per trovare la sicurezza e la motivazione per tenere duro, ma quando ce la fai è pazzesco”. La sua soddisfazione si legge in quegli occhi che si fanno piccolissimi quando ride – e ride spesso – mentre ci mostra i suoi trofei. Niente coppe o medaglie, ma le foto che scatta quando combatte il mostro, con la fotocamera compatta che porta sempre con sé. Una luna gigante sulla sua testa, un autoscatto con gli occhiali da sole e il cappellino, una fila indiana di corridori in cima a una duna, una striscia infinita di sabbia bianca, le scarpe distrutte, un tramonto di fuoco che sembra non finire più.


Testo di Giorgia Boitano | Foto di Giuliano Pugolotti  © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Servizio pubblicato su Latitudeslife.com

LIGURIA MON AMOUR, FUORI STAGIONE

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Una striscia di costa stretta tra il Golfo dei Poeti e Portofino. Mare pulito, fondale profondo e sabbia scura, a volte sassi, tanti scogli e le montagne subito dietro. Non se lo fila nessuno questo angolo di Liguria.

Deserto in inverno e affollatissimo nei mesi estivi, il Tigullio è una zona che va apprezzata piano, weekend dopo weekend. Solo così si riesce a tagliare quella crosta rigida che protegge e isola tutto quello che è Liguria. Sono le montagne che proteggono dal freddo e dagli invasori, uno scudo che affronta e manda indietro visitatori indesiderati. Strade strette, pochi parcheggi e spiagge minuscole, accompagnate dal carattere sospettoso e brontolone tipico della sua gente. Ma la mezzaluna ligure è bella così, ruvida e difficile come le viene naturale.

Una corona di pinete e olivi arrampicati sulle colline terrazzate contrasta con il blu del mare, un blu scuro che nei giorni di mareggiata prende mille sfumature da quadro impressionista. Ad aggiustare il colpo d’occhio, i colori accesi delle case, gialle, rosse, rosa, verdi, con i contorni delle finestre dipinti e i panni stesi che ondeggiano al vento. Vento che spinge le barche e muove le nuvole, porta vita e riempie i polmoni di sale.

Meteo lunatico, pioggia e sole vanno e vengono come autobus in balia del traffico, e tutti lì ad aspettare il bel tempo. Appena qualche raggio fa capolino, muretti panchine e spiagge si riempiono di amanti della tintarella, come tanti girasoli orientati della giusta direzione.

Sestri Levante, Cavi, Lavagna, Chiavari, Zoagli, Rapallo, Santa Margherita Ligure. Presepi variopinti affacciati sul mare, custodi di una bellezza che dà il meglio di sé nelle limpide giornate fuori stagione, quando il cielo è terso e le strade vuote.

A bordo di un motorino, è bello perdersi tra le stradine strette dell’entroterra, fare a gara con i treni lungo la via Aurelia, la strada che collega queste perle con un accostamento irregolare di linee e curve, dove ogni tornante regala entusiasmanti cartoline da conservare negli occhi. E Portofino sta là, con il suo inconfondibile e rassicurante profilo a fare da sfondo a questo film.

Meta fissa di famiglie benestanti del nord – allo stesso tempo fonte di denaro e incubo di ristoratori baristi e negozianti – con la bella stagione il Tigullio si riempie di bagnanti, che ogni estate vengono qui con in testa i paesaggi di Sardegna e Seychelles, e ne restano delusi. Puntuale come un calendario, arriva poi una massa indistinta di turisti della domenica che, anonimi e chiassosi, invadono spiagge marciapiedi, passeggiata a mare e bar, per poi scappare via a fine giornata. Corridoi di gente, tavolini occupati e spiagge coperte da teli e ombrelloni, agosto non è certo un buon periodo per programmare una vacanza da queste parti. Meglio maggio, giugno e settembre, quando il golfo torna ai ritmi lenti di chi vive qui tutto l’anno.

Un caffè nella splendida Baia del Silenzio di Sestri Levante, baciati dal sole del mattino, il jogging tra Cavi e Lavagna, guardando Portofino, una passeggiata nel carruggio di Chiavari, a guardare le vetrine dei tanti negozi boutique, una boccata di aria pura sulla scogliera di Zoagli, arrampicati in riva al mare, un giro in moto sulle colline di Rapallo, due passi e un bicchiere di vino sulla promenade di Santa Margherita.

Le bellezze naturali della costa si affiancano alle stradine del centro storico, i carruggi lastricati e semi-coperti da portici, dove scovare interessanti negozietti, botteghe, trattorie e gastronomie. Basta attraversare la via giusta per venire attratti dall’inconfondibile profumo di focaccia, orgoglio ligure. Bassa, croccante e bucherellata da morbide fossette di strutto, la focaccia ligure si taglia a strisce e si mangia a tutte le ore del giorno, persino a colazione imbevuta nel cappuccino. Diversa dalla focaccia di Recco, che imbottisce due strati di sottile pasta da pizza con morbido formaggio fresco.

Il pesto, invece, è un’altra arte: verde come il basilico, insaporito da pinoli, olio, formaggio grattugiato e poco aglio, dà il meglio con le troffie, ma sta bene anche con gli gnocchi, nelle lasagne verdi e nel gustoso minestrone di verdure. Semplice come vuole la tradizione, la cucina ligure si apprezza in costosi ed eleganti ristoranti, ma soprattutto nelle tante trattorie senza pretese che si nascondono nei vicoletti più anonimi. Pesce fresco secondo la giornata, polpo con patate, frittelle di baccalà, ripieni di verdure, pansotti con la salsa di noci, torte salate e cima, un piatto povero e sostanzioso che si presenta in fettine ed è ricavato da una tasca di carne ripiena. Tra i dolci, la torta di pinoli e i ghiottissimi canestrelli genovesi, ricoperti da uno strato di zucchero a velo.

Tra gastronomia e natura, tra vita da spiaggia e giri in motorino, la Liguria è un gioiello da indossare con orgoglio. Sono nata da queste parti, ne sono scappata, e solo così ho imparato ad amarla. Atmosfera rilassata, paesaggi e clima che invitano a stare all’aria aperta, è perfetta per rigeneranti pause lontano dal chiasso del mondo e a contatto con le cose semplici.

LA MILANO DEL FUTURO

 

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Una navicella spaziale è atterrata a Milano in una notte senza vento. Due alieni alti e con la testa a punta sono scesi in ricognizione tra le case della città, hanno studiato una posizione strategica con i loro marchingegni ipertecnologici e hanno borbottato qualcosa. La mattina dopo, era nato un nuovo quartiere che sembra venire direttamente dal futuro: Porta Nuova.

Mi piace pensare così, quando mi aggiro tra le pareti specchiate di questo angolo di modernità nel cuore della città del Salone del Mobile, dove ho appena realizzato un reportage per Latitudeslife. Eccone un anticipo.

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Porta Nuova è il più recente quartiere di Milano, un progetto firmato da architetti di fama internazionale per riqualificare la zona vicino alla stazione di Porta Garibaldi. Ne è stata inaugurata una parte lo scorso ottobre, ma alcune zone sono ancora in costruzione.

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Con i suoi edifici a specchi dalle linee regolari, Porta Nuova ha ridisegnato lo skyline della città. Spicca con la sua punta affilata la Unicredit Tower, il grattacielo più alto d’Italia.

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Dall’alto è ancora più evidente il contrasto tra la nuova e la vecchia Milano. Ecco le vie della movida e le colorate case di ringhiera dove gallerie, negozi e altre realtà si preparano agli eventi di design organizzati in occasione del Salone del Mobile.

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Questa foto è stata scattata dalla terrazza della galleria Sozzani in Corso Como 10, uno spazio espositivo che ospita mostre di fotografia, moda e design. Nello stesso complesso, si trovano anche un negozio, la libreria, una caffetteria e un hotel esclusivo con sole tre camere.

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Leggi tutto il reportage che ho realizzato per Latitudeslife nella versione iPad del magazine (apple store) e sullo sfogliabile online, a partire da venerdì 5 aprile.

PERUGIA. ELETTRICITA’ SOCIALE

Tra le vie acciottolate e le piazze del centro storico di Perugia, si scopre un melting pot multietnico e vivace, che attira giovani universitari e turisti da tutto il mondo

Alta nel cielo e arroccata su una collina dalla storia millenaria, Perugia è una città sospesa tra un passato ricco di tradizioni e un presente fatto di giovani, che guardano a un futuro multietnico e colorato. Nel mosaico urbano che abbraccia palazzi e chiese degne di un borgo d’arte, s’incontrano studenti dalle mille nazionalità, che intonano una melodia di tante lingue diverse. Immersa nella rigogliosa vegetazione umbra, tra il Tevere e il lago Trasimeno, Perugia riassume in sé le molteplici caratteristiche di questa terra ricca di arte, natura e gusto. Con i suoi monumenti storici dal valore inestimabile, la sterminata campagna tutt’intorno e l’ottima cucina del territorio, che va dalle tagliatelle al tartufo ai fegatelli e all’immancabile cioccolato, non c’è da stupirsi se attira tante persone da ogni parte del mondo. Contesa da più sponde sul piano politico, sin dai tempi antichi Perugia è stata uno dei centri più vivaci d’Italia per i suoi monasteri e le tante basiliche, ma anche per la prestigiosa università e per la sua grande scuola pittorica. La città, infatti, è stata culla di artisti di fama internazionale come il Pinturicchio, il maestro Perugino e il suo allievo Raffaello, che hanno lasciato capolavori inestimabili, memoria di tempi lontani fatti di lunghe vesti e volti angelici. Passeggiando a naso all’insù tra le strette vie del centro, è facile capire da dove traessero l’ispirazione per creare tanta bellezza. Nel mosaico urbano che si apre all’interno delle mura, resti di antiche civiltà s’intrecciano in un mix di storie e culture diverse.

Un itinerario alla scoperta della città potrebbe partire dall’Arco di Augusto, la porta monumentale dell’antica cinta muraria etrusca e risalire le stradine in pietra e ciottoli fino a piazza IV Novembre, una delle più belle d’Italia, vero melting pot del capoluogo umbro. Leggermente inclinata verso corso Vannucci, la via dei negozi più modaioli, la piazza è un’aggregazione di stili, epoche e culture diverse, dove passato e presente convivono in un contrasto che vale la pena vedere. Ai lati di questo spazio affascinante e irregolare, sorgono l’elegante Palazzo dei Priori, edificio gotico, ora sede della Galleria Nazionale dell’Umbria e custode di un patrimonio artistico che va dal XIII al XIX secolo, il Duomo di S.Lorenzo, con la sua gradinata, la facciata incompleta e il loggiato, e la maestosa Fontana Maggiore, realizzata nel 1277 per inaugurare l’acquedotto che dal Monte Pacciano portava acqua nella piazza. Appollaiati su questi monumenti di età così diverse e così lontane, oggi si vedono folle di giovani intenti a socializzare e a vivere questi spazi così suggestivi. Seguendo la massa di studenti universitari, che qui costituiscono una fetta notevole della popolazione, si prosegue tra bar, trattorie e negozietti originali, stando ben attenti a non perdere i monumenti che si incontrano via via lungo percorsi tracciati dall’istinto personale.

Poco più in basso rispetto alla piazza principale, si trova piazza Matteotti, dove aveva sede la vecchia università, prima di essere trasferita fuori dalle mura cittadine: l’edificio, oggi sede del Palazzo di Giustizia, conserva ancora oggi l’antico fascino, reso ancora più emozionante dall’usura del tempo. Gironzolando ancora, s’incontrano il Pozzo Etrusco, Porta Marzia, la seconda porta monumentale etrusca, e la Rocca Paolina, imponente fortezza fatta erigere da Papa Paolo III nel 1540.

Altri palazzi storici si affacciano sulla bella piazza Italia, dove prendere una pausa su una delle panchine dei giardini dedicati al grande poeta Giosué Carducci. Il tramonto, poi, è l’orario migliore per affacciarsi verso la valle che da viale indipendenza si apre a perdita d’occhio, raccontando di storie e di mondi tutti da scoprire. Se la fame inizia a fare capolino, basta perdersi nel reticolo di vie del centro e cercare i locali più affollati, per continuare a vivere l’atmosfera underground di Perugia davanti a un piatto a base di tartufo e un bicchiere di buon vino locale.

Testo di Giorgia Boitano | Foto di Michele Castellani

Reportage pubblicato su Latitudeslife.com Continue reading “PERUGIA. ELETTRICITA’ SOCIALE”