RUNNING: OLTRE LA MARATONA

running-ultramaratona

Le gare podistiche che superano i circa 42 km (la lunghezza della maratona classica), sono dette ultramaratone. E visto che la faticaccia è assicurata, spesso si svolgono in ambienti estremi, come il deserto o l’alta montagna. Possono durare alcune decine d’ore oppure di alcuni giorni. Panorama spettacolare durante il percorso e indicibile soddisfazione dopo.

La corsa più conosciuta è la Marathon des Sables, che si svolge nel sud del Marocco tra le pietraie e le enormi dune del deserto del Sahara. È una gara a tappe, 240 km e sei giorni con in spalla uno zainetto e un kit di sopravvivenza. Ogni tratto copre la lunghezza di una maratona e si corre in completa autosufficienza alimentare, a parte i nove litri d’acqua giornalieri a disposizione degli atleti, che si possono ritirare – un po’ per volta – nei punti ristoro situati ogni 10 km lungo il percorso.

Oltre a questo tipo di competizioni, ce ne sono altre ancora più toste. Sono le ultramaratone non-stop: 100, 150, 200, 250 km o anche di più, in una sola volta. Suona impossibile, ma non significa che sia vietato fermarsi. Solo che non è obbligatorio o prefissato. Si inizia a correre e ci si ferma quande se ne sente il bisogno, e per il tempo che si vuole. E così, si può andare avanti per 30, 40 ore di fila in completa autosufficienza, di giorno e di notte, da soli o in compagnia. Il massimo dello spettacolo.

 

Leggi il mio articolo “Il deserto, di corsa” su Latitudeslife

RUNNING: IL DESERTO, DI CORSA

giuliano-pugolotti-desert-run

Caldo indescrivibile, tanta fatica e paesaggi da urlo: è la sfida estrema di sabbia, sole e vento che spinge Giuliano Pugolotti a correre una ultra-maratona dopo l’altra nei deserti del mondo.

A vederlo così non si direbbe che quest’uomo sorridente e abbronzato, magro ma non troppo, abbia corso nel deserto per ben 188 km e 35 ore,senza mai fermarsi, appena tre mesi fa. Capelli brizzolati, guance tonde, jeans e camicia, stretta di mano decisa: Giuliano Pugolotti, 53 anni, pubblicitario con la passione per la corsa estrema, negli scorsi 8 anni ha partecipato a ben 15 competizioni in alcuni deserti del mondo. Viene a trovarci nella redazione di Latitudes in un pomeriggio d’inizio luglio e ci riempie di parole, immagini, pensieri. La prima volta che ha visto il deserto, è stato per correre. Cercava una nuova sfida, uno stimolo per incanalare la sua adrenalina, ed eccolo in Tunisia, in mezzo ad altri runner molto più esperti di lui.

Con il sacco a pelo da supermercato e lo zaino troppo pesante, capisce di aver fatto una scelta incosciente, esagerata. Sembra un turista in mezzo agli atleti, vorrebbe tornare a casa, ma dopo una nottata di conflitti interiori decide di non mollare. E il giorno dopo inizia la sua prima extreme run, una corsa di 120 km divisa in cinque tappe tra le dune del Sahara. Arriva tra gli ultimi, stanchissimo, ma sa che non è finita. Seguiranno altre 14 competizioni, sempre più estreme: di nuovo nel Sahara, poi in Libia nel deserto del Ghat, tra le difficili rocce del Gobi in Cina, sul massiccio Hoggar Assekrem in Algeria, nel deserto di Atacama in Cile, nel Wadi Rum in Giordania. “Nel deserto capisci che la natura ha una forza enorme, impetuosa, in grado di tirare fuori e ingrandire ogni tua minima debolezza. Se gli fai vedere che hai paura, non ne esci. Per affrontarla devi essere deciso, lavorare su te stesso e non mollare mai”. Neanche se c’è un caldo incredibile, che asciuga tutte le energie, neanche se l’aria è pesante e intorno c’è solo sabbia.

Giuliano ci spiega che esistono diversi tipi di gare: a tappe come la sua prima esperienza, o in un’unica sessione, come la Extreme Desert Cup, che ha completato lo scorso aprile in Marocco. Nel primo caso la gara è divisa in blocchi, praticamente si corre una maratona al giorno per 4 giorni, e l’ultimo giorno si chiude con 90-95 km, dormendo in sacco a pelo nelle tende fornite dall’organizzazione. Nel secondo caso, invece, si parte e si arriva quando si vuole, fermandosi ai check point per fare rifornimento d’acqua. Il cibo si porta da casa e deve stare tutto nello zaino, insieme a sacco a pelo, torcia, paravento e poco altro. Da bravo emiliano, Giuliano si porta un chilo di parmigiano reggiano e la pasta liofilizzata – altro che barrette – e invece degli integratori preferisce il sale marino, che si fa incapsulare dalla farmacia di fiducia. Semplice, come la corsa.

E gli allenamenti? Non c’è una regola, o almeno non ce la dice. Corre quando ha tempo, la mattina prestissimo, prima di andare in ufficio, oppure la sera dopo il lavoro. Da come parla, sembra che la cosa su cui bisogna concentrarsi veramente sia la testa. Se i muscoli sono allenati, vanno. Il più è convincere il proprio corpo a muoverli ininterrottamente per chilometri e chilometri. A cosa pensare? Come tenersi motivati? Giuliano resta vago, non sa spiegarlo: “Penso a tutto quello a cui non penso normalmente, a cose banali e serie, e poi mi concentro sui segnali che mi dà il mio fisico”. Certo, bisogna essere sportivi, irrequieti, determinati, amare il movimento e la fatica, apprezzare quella soddisfazione che si ottiene con la conquista di un obiettivo, e non accontentarsi mai.

Ma come ha iniziato a correre, uno così? Comincia a 32 anni, per caso. Un giorno è al parco a fare jogging con una magliettaccia e le scarpe sottomarca, e per non annoiarsi decide di seguire un altro corridore. Un giro, due, tre. Cerca di parlargli per ingannare il tempo, ma quello non vuole saperne. Alla fine l’uomo si gira e gli chiede se fa le gare, e che dovrebbe proprio farle, perché è bravo, ha la stoffa. E infatti. Diventano amici, lo coinvolge, gli dà dei consigli su come allenarsi, su quali competizioni fare. Corre la prima maratona e si accorge di essere tagliato per questo sport. Si appassiona alla fatica, alla sfida con se stesso, e non smette più. Dopo 18 maratone in cui l’unico gioco è quello di risparmiare qualche secondo, si stufa e cerca qualcosa di più difficile, qualcosa per cui lottare. Ed eccolo nel deserto, un nuovo amore.

Bellissimo, ostile, difficile da far paura. “Laggiù sei solo con te stesso, tu e il mostro del deserto. Ci vuole tanta grinta per trovare la sicurezza e la motivazione per tenere duro, ma quando ce la fai è pazzesco”. La sua soddisfazione si legge in quegli occhi che si fanno piccolissimi quando ride – e ride spesso – mentre ci mostra i suoi trofei. Niente coppe o medaglie, ma le foto che scatta quando combatte il mostro, con la fotocamera compatta che porta sempre con sé. Una luna gigante sulla sua testa, un autoscatto con gli occhiali da sole e il cappellino, una fila indiana di corridori in cima a una duna, una striscia infinita di sabbia bianca, le scarpe distrutte, un tramonto di fuoco che sembra non finire più.


Testo di Giorgia Boitano | Foto di Giuliano Pugolotti  © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Servizio pubblicato su Latitudeslife.com

FUORILUOGO SLOVENIA: MONTAGNA, MUCCHE E RIPOSO

Slovenia: la colazione dell’alpinista

Fuoriluogo-Slovenia-13

Svegliandosi di buon’ora dopo una notte in rifugio, ci vuole un pasto sostanzioso per affrontare un’altra giornata di trekking e raggiungere l’altra estremità del lago di Bohinj. Oggi il cielo è sereno e ci vorranno circa 5 ore di camminata, tra salite e discese. Una sorridente cameriera del rifugio Koča pri Triglavzkih Jezerih ci porta un piatto di uova e prosciutto del carso, che sfrigola come se fosse ancora in padella, da tanto è unto. Un concentrato di calorie che ci terrà in moto fino all’arrivo a valle. Intanto usciamo a goderci il silenzio, l’aria frizzante del mattino e la splendida vista dei laghetti qui davanti.

 

Slovenia: sentieri e mucche al pascolo

Fuoriluogo-Slovenia-14

Attraversiamo sentieri e paesaggi di un’incredibile varietà, dal cammino tra rocce e arbusti agli ampi pascoli con l’erba bassa, dalle vie tra gli alberi alle mulattiere, tutto perfettamente segnalato. Per orientarsi, basta fare attenzione ai classici simboli a cerchio bianco e rosso e ai tratti di vernice rossa sulle pietre, oltre ad osservare i cartelli su cui sono indicati i tempi di percorrenza per le varie direzioni. La stradina per arrivare al Planini pri Jezeru, un laghetto con diverse costruzioni in legno tra cui un bel rifugio, attraversa diversi pascoli e un piccolo boschetto. Nei punti in cui la montagna è più morbida e verde, sono posizionate le stalle e le casette in legno dei pastori, luoghi ideali per ogni aspirante eremita. In questo zampettare nella natura incontriamo un gruppetto di mucche a passeggio sul sentiero, che non hanno la minima intenzione di farci passare. Ci sono le femmine, qualche vitellino e il toro, alla cui vista tutte le energie della colazione sono evaporate in una corsa sfrenata tagliando per il bosco.

 

Slovenia: il lago di Bohinj, dall’alto

Fuoriluogo-Slovenia-15

Passo dopo passo, ora dopo ora, si arriva al lago di Bohinj, una distesa di acqua blu su cui si specchiano le montagne appuntite tutto intorno. È il più grande lago di origine glaciale della regione, lungo 4,5 km, largo 1200 metri e profondo 45 metri e si trova all’estremità meridionale del Parco Nazionale del Triglav. lontano solo 26 km dal più conosciuto e chiassoso lago di Bled, è meno turistico e molto affascinante, nonostante non ci siano isolette e castelli da favola. Nelle giornate più limpide si vedono le tre vette del monte Triglav, un invito costante ad arrampicarsi fin lassù. Le città più vicine sono Stara Fužina, dove arriva il nostro sentiero, Ukank, da dove siamo partiti, qualche altro villaggio con fienili, villette e chiesette candide dai campanili appuntiti e Bohinjska Bistrica, il centro più grande. Le rive del lago sono un sogno per stendersi al sole e immergere i piedi dopo tanti chilometri di marcia su e giù per le alpi. Ci rilassiamo mentre la gente tutto intorno rema a bordo di una canoa, corre, porta a spasso il cane, pedala o vola con il parapendio in questo luogo ideale per rilassarsi tra natura, sport e silenzio.

FUORILUOGO SLOVENIA: TREKKING SUL MONTE TRIGLAV

Slovenia: alpinismo che passione

Fuoriluogo-Slovenia-10

Con tutti questi monti e tutte le informazioni che si raccolgono facilmente negli uffici turistici, non si può far altro che indossare un paio di scarpe da montagna, scegliere un itinerario sulla mappa e iniziare a salire. L’offerta escursionistica in Slovenia e specialmente all’interno del Parco Nazionale del Triglav è così ampia che non basterebbero due settimane con le gambe buone e il tempo favorevole per girarlo tutto. Dal 13 settembre al 13 ottobre, molti alpinisti raggiungeranno la zona intorno al lago di Bohinj per l’Hiking Festival, un evento internazionale dedicato a tutti gli amanti della montagna, che si svolge ogni anno con passeggiate di gruppo, competizioni per scalatori estremi, tour guidati a tema, incontri con gli esperti, attività per bambini e corsi per chi vuole provare la camminata per la prima volta. Ci si stupirà nel vedere la quantità e la varietà delle persone che si infilano uno dietro l’altro lungo i sentieri: giovani, anziani, bimbi anche tra i più piccoli, sportivi super-allenati e gente con la pancia, attrezzati con accessori tecnici e vestiti con una semplice tuta in cotone, la felpa con il cappuccio e i calzini bassi. Quello che conta è scegliere la via più adatta alle proprie capacità, e non dimenticare una borraccia. La montagna è di tutti, basta iniziare a marciare.

 

Slovenia: tutti in marcia sul Triglav

Fuoriluogo-Slovenia-11

Si dice che non si è un vero sloveno se non si è saliti almeno una volta sul monte Triglav. Ecco perché si incontra così tanta gente sui sentieri che lo scalano. Simbolo del Paese, questa triplice vetta alta 2864 metri, da oltre un millennio è fonte di ispirazione e di devozione per gli sloveni. La tradizione del pellegrinaggio nacque all’epoca degli Asburgo nel XIX secolo, dopo che il monte venne scalato la prima volta a fine 1700 da un alpinista austriaco, ed è rimasta come rito per rafforzare l’identità nazionale. Arrivare in vetta, però, non è per niente semplice: inaccessibile da metà ottobre a metà giugno, il monte è molto ripido, specialmente nell’ultimo tratto, dove anche gli scalatori più esperti devono prestare attenzione. Per chi riesce ad arrivare fino in cima, però, la vista sulle montagne, le valli e i pascoli intorno sarà impagabile e dopo tanta fatica si potrà dire con orgoglio di essere veri sloveni, danes sem slovenec (oggi sono uno sloveno).

 

Slovenia: il Sentiero dei Sette Laghi

Fuoriluogo-Slovenia-12

La via più conosciuta per salire sul Monte Triglav è il sentiero dei sette laghi, un itinerario ad anello di circa 40 km e 2500 metri di dislivello, percorribile in due o tre giornate di cammino. Per la maggior parte il sentiero è di media difficoltà, a parte l’ultimo tratto più impegnativo. Per chi non avesse voglia, tempo oppure le capacità di arrivare fino in cima, è possibile percorrerne dei tratti e fermarsi prima, grazie al reticolo di vie che collegano un monte all’altro e riportano a valle. Zaino in spalla e scarpe ben strette, iniziamo il percorso da Ukank, a ovest del lago di Bohinj, vicino alle cascate Savica, il cui scroscio insistente e rumoroso ci accompagna per tutta la prima parte. Da qui procediamo a zigzag nella boscaglia arrampicandoci fino al ripido picco del Komarča, a 1340 metri, dalla cui cima si vede lo specchio alpino del lago. A circa tre ore di cammino tra rocce, pascoli fioriti, ghiaia e fango (ieri pioveva e anche oggi il cielo promette uno scroscio entro sera) arriviamo al rifugio Koča pri Triglavzkih Jezerih, situato a 1685 metri di altezza con una splendida vista su una coppia di laghetti. Da qui inizia la Valle dei Laghi del Triglav, una zona brulla circondata da creste aguzze e rocce insidiose, dove ai colori dei fiori si aggiunge il fascino dei bacini di acqua specchiata che si incontrano lungo la via. Più in alto ci sarà un altro rifugio e inizierà la scalata per la vetta, ma inizia a piovere e noi torniamo indietro.

ERITREA BY BIKE: UNA PASSIONE A DUE RUOTE

eritrea-bike-1

Chi arriva nella capitale eritrea non può fare a meno di notare la miriade di biciclette che circolano per la città. Uscendo poi verso la campagna, si incontrano file interminabili di pendolari delle due ruote, che ogni giorno vanno dai villaggi alla città e ritorno. In un paese povero con strade disastrate dalle guerre, la bici è il mezzo di trasporto più gettonato, ma è soprattutto oggetto di una forte passione popolare. Biciclette di tutti i colori, più o meno scassate, sfrecciano sotto il sole africano guidate da amatori e professionisti.

In un paese in cui la bici occupa un posto così importante, non potevano mancare le gare ciclistiche. Ad Asmara, la maggior parte delle competizioni si svolge in circuito su alcuni percorsi non molto lunghi, che rimangono chiusi al traffico e circondati da migliaia di spettatori, che pagano per vedere passare i corridori delle diverse categorie.  I proventi dei biglietti servono per finanziare tutto il movimento ciclistico eritreo: infatti, non solo il ricavato serve per rientrare dei costi di premi e spese varie, ma il 70% viene distribuito periodicamente fra i ciclisti per aiutarli a sostenere i costi che non sono certo alla portata di tutti.

Leggi il reportage “Eritrea. I tesori del Medeber” su Latitudeslife.com

eritrea-asmara-bike-3